SERIE A, IL GRAN PASTICCIO DEI DIRITTI TV: CHI CI PERDE SONO I CONSUMATORI
Sembrava potesse essere l’anno della svolta per i diritti tv della serie A. Sembrava si potesse assistere alla fine dei monopoli e arrivare a un’offerta più concorrenziale, con tutto ciò che ne consegue in termini di benefici per i consumatori.
Sembrava, ma così non è stato. E oggi ci ritroviamo con il monopolio assoluto di Sky, una Lega Calcio che ha incassato meno soldi di quelli che avrebbe ottenuto da Mediapro, il sovrapprezzo per i consumatori dovuto alle tre partite settimanali che trasmette Dazn, e gli inconvenienti tecnici nel guardare le partite sulla stessa Dazn, tv in streaming in un Paese in cui la banda larga e Internet superveloce non sono proprio alla portata di tutti.
IL BANDO A MEDIAPRO, LA REVOCA E LA TRATTATIVA PRIVATA CON SKY – Tutto succede nel giro di pochi mesi. A febbraio gli spagnoli di Mediapro acquistano i diritti per il campionato di Serie A al prezzo di 1,05 miliardi di euro. La società spagnola dovrebbe fare da intermediaria e rivendere i diritti. Magari proprio a Sky, che però a quel punto dovrebbe trasmettere le partite su diverse piattaforme (digitale, Internet, satellitare) e senza alcuna esclusiva. Più concorrenza, più benefici per i consumatori e meno benefici per l’emittente di Murdoch.
A quel punto Sky dà il via a una battaglia legale per revocare i diritti alla società spagnola. Mediapro si va a infrangere contro tutta una serie di cavilli, mancate garanzie e fidejussioni, e il Tribunale dà ragione all’emittente satellitare del magnate australiano, così la Lega Calcio revoca la concessione dei diritti a Mediapro e torna a trattare con Sky.
Lo fa senza asta, a trattativa privata, e accettando l’esclusiva sul prodotto. La serie A viene divisa in due: il pezzo più grosso va a Sky, quello più piccolo (tre partite a settimana, la serale del sabato, il match dell’ora di pranzo di domenica e una partita delle 15) va a Perform, la multinazionale che controlla Dazn.
LEGA E CONSUMATORI CI PERDONO, SKY CI GUADAGNA – La Lega incassa 973 milioni a stagione (780 da Sky e 193 da Dazn), rinuncia a più di 20 milioni rispetto a quelli che avrebbe ottenuto da Mediapro e si piega alla logica dell’esclusiva pretesa da Murdoch.
Sky ottiene così quel che voleva. Le manca solo una cosa, le tre partite di Dazn, ed ecco che raggiunge l’accordo con il gruppo Perform. Le tre partite mancanti costano 7,99 euro ai clienti Sky, due euro in meno dell’abbonamento mensile a Dazn. L’emittente di Murdoch fa un favore a Dazn, acquistando e rivendendo ai suoi clienti una consistente quota di utenze Dazn da rivendere ai suoi clienti. E allo stesso tempo può continuare a comportarsi da monopolista assoluto.
Sky felice, Dazn felice, ma non altrettanto gli utenti. Chi ha un pacchetto calcio con Sky, infatti, deve pagare 8 euro in più al mese rispetto all’anno scorso per poter vedere tutte le partite. A questo si aggiungono i problemi tecnici di Dazn, denunciati da migliaia di utenti. Spesso e volentieri infatti la visione delle partite si blocca. L’emittente streaming del gruppo Perform si è presentata in Italia come il Netflix del calcio, ma ci sono differenze abissali: Netflix propone contenuti già catalogati da vedere in streaming, Dazn propone eventi in diretta, per cui ci vuole una velocità di rete molto più alta affinché non si blocchino. Che sia un problema dell’emittente o dell’obsoleta Rete italiana, poco conta. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ed è imbarazzante per la Lega Calcio aver concesso i diritti a un’emittente che ci va vedere le partite “a scatti”.
L’ANTITRUST – È notizia dei giorni scorsi l’intervento dell’Antitrust, che ha avviato, su segnalazione di diversi consumatori, due istruttorie per pratiche commerciali scorrette contro Sky e Dazn.
Quanto alla tv di Murdoch, avrebbe adottato modalità di pubblicizzazione dell’offerta del pacchetto calcio che, “in assenza di adeguate informazioni sui limiti dell’offerta (la mancanza di tre partite dal pacchetto, ndr) potrebbero aver indotto i nuovi clienti ad assumere una decisione commerciale non consapevole”. Quanti ai già abbonati, nei loro confronti la condotta di Sky potrebbe presentare “profili di aggressività” in quanto, “a fronte di un significativo ridimensionamento del pacchetto in relazione al numero delle partite trasmesse, e in assenza dell’informativa sulla possibilità di recedere dal contratto senza penali, costi di disattivazione, avrebbe indotto tali soggetti a rinnovare l’abbonamento nell’erroneo convincimento che l’offerta non fosse mutata”.
Nel mirino anche Perform. Da un lato per l’enfasi data al claim “quando vuoi, dove vuoi”, che lascia intendere al consumatore di poter utilizzare il servizio ovunque si trovi, senza fare un minimo accenno alle limitazioni tecniche che si stanno palesando e che impediscono o rendono più difficile la fruizione delle partite. Dall’altro per i messaggi che indicano la possibilità di fruire di un mese gratuito “senza contratto”. Cosa falsa: il consumatore infatti nel momento in cui si registra, stipula – quasi senza accorgersene – un abbonamento vero e proprio, usufruisce del primo mese gratis e poi scatta il rinnovo automatico con addebito su carta o conto corrente. Quindi l’utente deve attivarsi per esercitare il diritto di recesso. Una pratica commerciale che l’Antitrust definisce aggressiva.