Era digitale e desertificazione bancaria

Era digitale e desertificazione bancaria

A cura di Adusbef,

Una delle caratteristiche emergenti dell’ attuale panorama economico e sociale italiano è la progressiva “desertificazione bancaria”. Secondo uno studio della FABI, il sindacato dei lavoratori del settore bancario, circa 4 milioni di italiani, pari al 7% dell’ intera popolazione, vivono in uno dei 3.062 comuni nei quali non esiste una filiale di un istituto di credito. Dal 2012 alla fine dello scorso anno gli sportelli sul territorio sono passati da 32.881 a 21.650.

Il fenomeno assume caratteristiche diverse a seconda delle aree geografiche: al nord la popolazione interessata ammonta al 6%, al centro al 3,2%, mentre è al sud che il fenomeno appare più marcato, con il 10,7% degli abitanti che non può contare neanche su una filiale vicino casa. La Campania, poi, è la prima regione nel nostro paese per numero di cittadini “senza banca”: sono circa 700.000. A livello regionale, i territori che risentono maggiormente del fenomeno della desertificazione bancaria sono il Molise, con il 37,3% degli abitanti “senza banca”, la Valle d’ Aosta con il 33,4% e la Calabria, con il 28,8%. Le regioni nelle quali la presenza degli istituti è più capillare sono invece l’ Emilia Romagna, dove solo l’1,2% dei cittadini non può contare su una filiale, e la Toscana, in cui la stessa percentuale è dell’ 1,5%. La nostra regione, il Lazio, non risente in maniera particolarmente pesante della desertificazione: solo il 4,3% della popolazione è “senza banca”.

Tra i motivi che spingono gli istituti di credito a chiudere le loro filiali fisiche sul territorio sicuramente c’è l’ avvento e lo sviluppo sempre più marcato dell’ home banking e delle tecnologie digitali; come possiamo facilmente intuire, questa tendenza si è ulteriormente e rapidamente accentuata negli ultimi 2 anni a causa del COVID. Non solo: le agenzie bancarie sono sempre meno frequentate ma richiedono personale attivo con conseguenti aggravi sui costi d’ esercizio. D’ altro canto, però, se è vero che oggi l’ home banking prende sempre più piede, non bisogna dimenticare che l’ Italia si situa al di sotto della media europea per tasso di digitalizzazione bancaria fra la popolazione (45% contro il 58% della media europea). Per di più, va considerato il fatto che i piccoli comuni, che sono quelli più colpiti dal fenomeno in esame, possono avere anche problemi di connessione a internet, con conseguente difficoltà (o impossibilità) per gli utenti di sfruttare l’ home banking. Inoltre, nelle realtà territoriali maggiormente interessate dalla desertificazione vivono in genere persone anziane, meno avvezze all’ uso di strumenti informatici. Questo scenario di desertificazione può influire negativamente sul tessuto economico-sociale dei piccoli comuni: meno banche, infatti, significano meno investimenti, meno imprese, meno lavoro, con conseguente spopolamento dei territori interessati.

Ma cosa c’è alla base della scelta delle banche di chiudere molti dei loro sportelli sul territorio? Secondo Lando Maria Sileoni, segretario della  FABI, gli istituti bancari stanno spostando puntando molto più sulla vendita di prodotti finanziari e assicurativi che sulla concessione di prestiti, mutui e crediti. Inoltre, come si diceva in precedenza, gli istituti di credito giustificano la scelta in base al fatto che ormai molti clienti optano per l’ homebanking. Sta venendo meno, in tal modo, la presenza capillare delle filiali fisiche e così anche il ruolo economico-sociale sul territorio; a supplire nello svolgimento di questo ruolo potrebbero essere le banche di credito cooperativo. Questi istituti, con l’ entrata in vigore del Testo unico bancario nel 1993, sostituiscono le vecchie casse rurali e artigiane. Si costituiscono in società cooperative e in quanto tali hanno carattere di mutualità; hanno inoltre un legame profondo con il territorio. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che, come ogni impresa cooperativa, anche la banca di credito cooperativo nasce come espressione della comunità del territorio e sulla base delle esigenze della stessa. Oggi in circa 695 comuni italiani sono l’ unica presenza fisica e concreta del credito.

Una soluzione al problema potrebbe essere data dall’introduzione di sportelli automatici pluriservizi (informazioni sul conto, prelievo contanti, versamenti, bonifici, richiesta di prestiti) ma molte banche ritengono eccessivamente onerosa la loro gestione alla luce della struttura attuale delle commissioni percepite. Oggi, infatti, tale struttura avvantaggia la banca che emette la carta (bancomat, prepagate ecc.) e non ripaga i costi di gestione a carico della banca proprietaria degli sportelli automatici. I quali sono anch’essi in fase di forte diminuzione per la chiusura di quelli più onerosi: gli sportelli automatici sono passati, infatti, da 41.304 del 2017 a 37.389 del 2021. A fine ottobre, l’Antitrust dovrebbe pronunciarsi proprio sulla eventuale revisione della struttura di pagamento delle commissioni.

Per approfondire:  https://www.adusbef.it/nuovo-sistema-di-commissioni-su-prelievi-da-sportelli-automatici

Blocco delle modifiche unilaterale del contratto luce e gas

Blocco delle modifiche unilaterale del contratto luce e gas

A cura di Codacons Lazio

Con l’approvazione del Decreto Aiuti bis, convertito nella Legge n. 142 del 21 settembre 2022, il Governo ha previsto la sospensione, fino al 30 aprile 2023, delle modifiche unilaterali dei contratti di energia elettrica e gas. La norma, che cerca di mettere un freno ai continui rialzi dei prezzi, all’art. 3 stabilisce che: “Fino al 30 aprile 2023 è sospesa l’efficacia di ogni eventuale clausola contrattuale che consente all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo ancorché sia contrattualmente riconosciuto il diritto di recesso alla controparte. Fino alla medesima data di cui al comma 1 sono inefficaci i preavvisi comunicati per le suddette finalità prima della data di entrata in vigore del presente decreto, salvo che le modifiche contrattuali si siano già perfezionate.” Le società di fornitura di energia elettrica e gas, ormai da tempo, stanno cercando di scaricare i maggiori costi di energia e gas su famiglie e imprese. La cosa che ci allarma è che questo avvenga nonostante lo stesso stop alle modifiche unilaterali sia stato stabilito con il decreto Aiuti bis.
Ma in cosa consistono le modifiche unilaterali di contratto?
Le società di fornitura di energia elettrica e gas, ma non solo, prima decreto aiuti bis, potevano decidere di modificare le condizioni di contratto, bastava comunicare tale modifica al consumatore, anche attraverso un semplice SMS. Molte aziende, infatti, si dimostrano riluttanti e non permettono al consumatore di recedere dal contratto con le scuse più fantasiose. La più ricorrente è quella in cui sostengono di non aver ricevuto alcuna comunicazione dal cliente riguardo la volontà di recedere dal contratto. Il decreto aiuti bis ha sospeso questa possibilità. Ciò nonostante sono molte le società che ad oggi inviano ai consumatori, anche mezzo
raccomandata, la comunicazione di tali modifiche. I consumatori che hanno ricevuto dal proprio fornitore tale comunicazione dovranno diffidare lo stesso ad applicare le tariffe indicate nel proprio contratto, è inoltre consigliabile, per coloro che non hanno ricevuto questa comunicazione, non rispondere a proposte commerciali che propongono tali modifiche, se non si è certi di volerle accettare.
Dopo aver inviato al proprio gestore la diffida, nel caso in cui la società, vincolata dal Decreto Aiutibis, può  decidere di rifiutare di erogare luce e gas in perdita alle vecchie condizioni contrattuali, comunicando l’interruzione del contratto. In questo caso ovviamente le utenze non vengono interrotte, ma semplicemente il consumatore finisce in quello che viene definito Servizio di Ultima Istanza in caso di fornitura gas, o in regime di Maggior Tutela nel caso dell’energia elettrica. Il servizio di ultima istanza è un regime contrattuale pensato dall’Autorità’ di regolazione per energia, reti e ambiente, ARERA, per far confluire i clienti delle società che possano trovarsi in fallimento o, comunque, impossibilitate a proseguire la fornitura al cliente finale.
In questo caso, la società di vendita del mercato libero che non può apportare modifiche economiche, può sempre decidere di interrompere la fornitura, mandando il cliente, direttamente dal mese successivo, in Ultima Istanza per la fornitura gas e in Maggior Tutela per la fornitura di energia elettrica. Mentre con la modifica unilaterale del contratto ci sono comunque 60 giorni di preavviso per applicare le nuove condizioni tariffarie e, dunque, ancora 60 giorni di fornitura ai vecchi prezzi, con la cessazione del contratto non c’è alcun preavviso e, al termine del mese solare della comunicazione, il cliente viene trasferito alle società che erogano il servizio di ultima istanza.
Le condizioni tariffarie del regime di Ultima Istanza sono, per i primi 6 mesi di permanenza in tale regime, uguali alle condizioni del servizio di Maggior Tutela. Trascorso tale periodo, proprio per scoraggiare i clienti a permanere in questo regime, si applica un sovraprezzo alle condizioni di tutela, in modo da rendere svantaggiosa per il consumatore la permanenza in Ultima istanza e spingerlo a sottoscrivere un nuovo contratto con un fornitore del Mercato libero. Il Decreto Aiuti bis contiene anche alcune misure per ridurre il cosiddetto “Caro Energia”. In deroga a quanto previsto dal Testo Unico IVA (Dpr 633/72), le somministrazioni di gas metano usato per combustione per usi civili e industriali contabilizzate nelle fatture emesse per i consumi stimati o effettivi dei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2022, sono assoggettate all’aliquota
IVA del 5 per cento. Qualora le somministrazioni siano contabilizzate sulla base di consumi stimati, l’aliquota IVA del 5 per cento si applica anche alla differenza derivante dagli importi ricalcolati sulla base dei consumi effettivi riferibili, anche percentualmente, ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2022.
Tali disposizioni si applicano anche alle somministrazioni di energia termica prodotta con gas metano in esecuzione di un contratto servizio energia di cui all’articolo 16, comma 4, del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115, contabilizzate per i consumi stimati o effettivi relativi al periodo dal 1° ottobre 2022 al 31 dicembre 2022.
Inoltre, al fine di contenere per il quarto trimestre dell’anno 2022 gli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore del gas naturale, l’Autorità’ di regolazione per energia, reti e ambiente, ARERA, mantiene inalterate le aliquote relative agli oneri generali di sistema per il settore del gas naturale in vigore nel terzo trimestre del 2022.
L’articolo 3, invece prevede che fino al 30 aprile 2023 e’ sospesa l’efficacia di ogni eventuale clausola contrattuale che consente all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo ancorché’ sia contrattualmente riconosciuto il diritto di recesso alla controparte. Infine si prevede che fino alla medesima data sono inefficaci i preavvisi comunicati per le suddette finalita’ prima del 10 agosto 2022 (data di entrata in vigore della legge) salvo che le modifiche contrattuali si siano già perfezionate.
L’articolo 4, per ridurre gli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA) provvede ad annullare, per il quarto trimestre 2022, le aliquote relative agli oneri generali di sistema elettrico applicate alle utenze domestiche e alle utenze non domestiche in bassa tensione, per altri usi, con potenza disponibile fino a 16,5 kW ad annullare, per il quarto trimestre 2022, le aliquote relative agli oneri generali di sistema applicate alle utenze con potenza disponibile superiore a 16,5 kW, anche connesse in media e alta/altissima tensione o per usi di illuminazione pubblica o di ricarica di veicoli elettrici in luoghi accessibili al pubblico.

Il percorso verso la digitalizzazione: un decennio di tempo

Il percorso verso la digitalizzazione: un decennio di tempo

A cura di MDC Lazio,

La continua espansione delle pratiche e delle attività legate al digitale innesca non solo la modernizzazione delle attività che ogni individuo conduce, ma anche una sorta di competizione sullo stato di digitalizzazione che le differenti società raggiungono gradualmente. Questa stessa competizione è pesata dall’Unione europea che dal 2014 misura i progressi compiuti dai suoi Stati membri nel settore del digitale attraverso il così detto DESI, l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società. Il DESI compila una classifica degli Stati membri in base al loro livello di digitalizzazione e ne analizza il progresso relativo nell’arco degli ultimi cinque anni, tenendo conto del rispettivo punto di partenza. Questo particolare strumento è utile alla Commissione per monitorare e allineare i Paesi al suo programma strategico “Percorso per il decennio digitale“, una strategia basata su quattro punti cardinali per assicurare un equo e sano sviluppo delle pratiche digitali per ognuno dei cittadini europei.

L’Unione, persuasa dall’idea che società e tecnologie digitali siano una potente opportunità per imparare, intrattenere, lavorare e realizzare nuove ambizioni, riconosce nella digitalizzazione anche una preziosa risorsa per conquistare nuove libertà e diritti, offrendo ai singoli l’opportunità di andare oltre le comunità fisiche, le posizioni geografiche e le posizioni sociali. Si propone così, entro il 2030, di raggiungere quattro obiettivi prioritari per una popolazione digitalmente qualificata e professionisti digitali altamente qualificati; infrastrutture digitali sicure e sostenibili; trasformazione digitale delle imprese e digitalizzazione dei servizi pubblici. È un percorso ambizioso quello dell’Unione, ma motivato dalla convinzione che, “anche ai fini della transizione verso un’economia a impatto climatico zero, circolare e resiliente, conseguire la sovranità digitale in un mondo aperto e interconnesso conferisce ai cittadini e alle imprese l’autonomia e la responsabilità necessarie per costruire un futuro digitale antropocentrico, sostenibile e più prospero”. Lungo il decennio dunque, l’Unione si impegna ad affrontare la principale sfida comune: il divario digitale tra i suoi Paesi membri.

IL PERCORSO DELL’ITALIA DIGITALE

Ad oggi, l’Italia percorre una strada fatta di luci e ombre: l’edizione 2022 del DESI colloca l’Italia al 18º posto fra i 27 Stati membri dell’UE, ma con ampi margini di miglioramento rispetto al passato. In quanto terza economia del sistema europeo, la rilevanza dei progressi italiani nel percorso di digitalizzazione dell’Unione è cruciale per consentire all’intera UE di conseguire gli obiettivi del decennio digitale per il 2030; nonostante i consistenti progressi raggiunti negli ultimi cinque anni, la trasformazione digitale sconta ancora varie carenze cui è necessario porre rimedio. È la stessa politica italiana a riconoscere la necessità di sviluppare misure volte a potenziare il sistema digitale, tra le quali l’istituzione di un Ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale e l’adozione di varie strategie chiave. Nell’ottica dell’attuazione del PNRR, il Paese dispone sia dei fondi necessari allo sviluppo sia di una robusta base industriale e di comunità di ricerca in settori chiave come l’intelligenza artificiale, il calcolo ad alte prestazioni e la quantistica. Secondo lo stesso DESI, questi punti di forza si potrebbero sfruttare per dispiegare il digitale in tutti i settori dell’economia e dello sviluppo sociale, sotto la guida dei designati principi digitali. L’Italia decide dunque di investire su sé stessa elaborando la Strategia Italia 2026 e il corollario Piano Operativo che insieme ambiscono a realizzare la così detta Repubblica Digitale, restituendo una risposta organica e complessiva sul tema delle competenze digitali. Quattro sono gli assi d’intervento chiave sui quali i Ministeri competenti, in concerto tra loro, agiscono per raggiungere gli obiettivi: Istruzione e Formazione Superiore, per lo sviluppo delle competenze digitali all’interno dei cicli d’istruzione formale per i giovani; Forza lavoro attiva, per garantire competenze digitali adeguate sia nel settore privato che nel settore pubblico; Competenze specialistiche ICT, per potenziare la capacità del Paese di sviluppare competenze per nuovi mercati e nuovi lavori legati alle tecnologie emergenti e al possesso delle competenze chiave per i lavori del futuro; ed infine Cittadini, per sviluppare le competenze digitali necessarie a esercitare i diritti di cittadinanza e la partecipazione consapevole alla vita democratica. Il piano e gli obiettivi italiani sono ambiziosi e potenzialmente “rivoluzionari”, se si considera come i persistenti gap in ambito di competenze, accesso e connettività limitino ancora il Paese ai posti inferiori della classifica europea. Nella continua ed accelerata corsa alla digitalizzazione infatti è opportuno mantenere viva l’attenzione non solo sul raggiungimento dei progressi tecnici e tecnologici, ma anche e sinergicamente sulle possibilità e capacità dei cittadini e degli utenti di “stare al passo”. Guidata dai sei principi digitali (Persone e Diritti al centro della trasformazione digitale, Solidarietà e Inclusione, Libertà di Scelta online, Partecipazione allo spazio pubblico digitale, Sicurezza, Protezione ed Empowerment delle persone ed infine Sostenibilità del futuro digitale), l’Italia può percorrere una strada equilibrata e consapevole, beneficiando concretamente degli strumenti per migliorare la qualità della vita dei suoi cittadini.

Nuovo sistema di commissioni su prelievi da sportelli automatici

Nuovo sistema di commissioni su prelievi da sportelli automatici

A cura di Adusbef

Ad ottobre l’Antitrust dovrebbe pronunciarsi sulla richiesta che la società Bancomat Spa.ha inoltrato circa la revisione radicale delle commissioni percepite a carico dell’utilizzatore della carta presso Atm gestiti da altra banca.

Oggi, la commissione viene incassata dallo stesso istituto presso cui è radicato il conto ed emittente la carta Bancomat. In media il livello di commissioni pagate per l’utilizzo di sportelli di altre banche è di circa 1,8 euro. La banca emittente quindi addebita il suo correntista dell’importo definito dal contratto, e gira una quota (50 centesimi di euro) alla banca che gestisce lo sportello automatico utilizzato. Con questa struttura, il grosso della commissione resta presso la banca emittente il Bancomat ed una piccola parte alla banca che gestisce lo sportello. E’ evidente che stando così le cose, le piccole banche dotate di pochi sportelli Bancomat, o addirittura di un solo sportello automatico, lucrano sui propri clienti perché costoro per avere contante devono troppo spesso rivolgersi ad ATM di altre banche. A rimetterci, quindi, sono proprio i clienti di quelle piccole banche a cui verrà addebitata la commissione di prelievo presso altri istituti.  Al contrario, i clienti di grandi banche, dotate di centinaia di Bancomat distribuiti su tutto il territorio nazionale, risulteranno avvantaggiati dal fatto che, in genere, le banche non addebitano commissioni se il prelievo è effettuato da propri clienti su propri sportelli.

Poiché le banche considerano non sufficientemente remunerativi i 50  centesimi riconosciuti dalla banca emittente il Bancomat, stanno procedendo alla chiusura di molti ATM. Banca d’Italia informa che gli ATM attivi nel 2021 erano 45.500, contro  i 47.700 del 2018 e i 50.500 del 2015. Questa riduzione è in atto nonostante la grande diffusione del Bancomat, specie in Italia. I dati di Bankitalia (Appendici alle Relazioni annuali del Governatore anno 2022 e 2016) ci dicono che nel 2021 erano in circolazione 60,940 milioni di carte Bancomat, di cui 60,904 milioni abilitate per i pagamenti ai POS. Erano 51,256 milioni nel 2015, di cui 50,317 abilitate POS. La proposta di Bancomat Spa vorrebbe ribaltare la filosofia delle commissioni applicate. La società infatti chiede che a percepire quelle commissioni non sia più la banca emittente la carta Bancomat, ma sia la banca che gestisce lo sportello automatico utilizzato da non clienti.  Se venisse accolta, con questa proposta le piccole banche con pochi ATM non lucreranno più sui loro clienti, obbligati a prelevare contante frequentemente presso bancomat di altre banche. Rispetto al sistema attuale, se fosse possibile imporre un livello massimo di commissioni (attorno ad un euro?), i correntisti avrebbero dei vantaggi non indifferenti rispetto al livello odierno medio di 1,8 euro; le banche non avrebbero più convenienza a chiudere gli ATM, perché il servizio risulterebbe adeguatamente remunerato, anzi sarebbero invogliate ad investire introducendo ATM multi funzione (in grado di offrire altri servizi bancari oltre la fornitura di contante) specie in quei comuni dove non esiste (o non esiste più) una filiale bancaria; soprattutto verrebbe soddisfatta la logica economica che vuole che il pagamento remuneri chi offre un  servizio (in questo caso l’ ATM) e spende per gestione e manutenzione, e non chi fornisce la carta Bancomat, la cui remunerazione è percepita dalla banca emittente attraverso commissioni imposte annualmente al correntista titolare.

Certamente Antitrust dovrà valutare le conseguenze in termini concorrenziali della proposta di Bancomat Spa. Se cioè ci sia il pericolo di abuso di posizione dominante da parte delle grandi banche rispetto alle piccole e piccolissime. Ma se guardiamo le cose dal punto di vista dell’utilizzatore finale (il correntista) il fatto che di 1,8 euro di commissioni addebitate ben 1,3 euro restino in tasca alla propria banca solo per aver emesso la carta Bancomat, risulta difficilmente giustificabile. E’ chiaro che i costi imposti dalla banca titolare dello sportello bancomat devono essere conosciuti dal cittadino che intende utilizzare quello sportello automatico prima che effettui l’operazione. In altri termini, sul video dell’ATM deve subito comparire il costo dell’operazione di prelievo, prima che si inizi la procedura di prelievo.

Restiamo in attesa delle valutazioni di Antitrust.

Energie rinnovabili fotovoltaico ed extra profitti

Energie rinnovabili fotovoltaico ed extra profitti

A cura di Codacons Lazio,

L’Autorità per l’energia (ARERA), con la delibera 266/2022/R/eel del 21 giugno 2022 (https://www.arera.it/allegati/docs/22/266-22.pdf ), ha reso note le modalità e le tempistiche con le quali il GSE procederà all’attuazione della misura dell’articolo 15-bis del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (c.c. DL Sostegni-Ter), che ha introdotto un meccanismo di compensazione a due vie sul prezzo dell’energia elettrica immessa in rete a partire dal 1° febbraio 2022 e sino al 31 dicembre 2022. Lo scopo del provvedimento è quello di prelevare i maggiori profitti ottenuti dalla vendita di energia elettrica da fonti rinnovabili, a seguito dell’aumento del prezzo della stessa a partire dalla seconda metà del 2021, per destinarli alla riduzione degli oneri generali di sistema così da ridurre il costo delle forniture di energia nonché supportare le misure legislative di contenimento della spesa energetica introdotte negli ultimi mesi (riduzione IVA, riduzione/annullamento oneri generali, etc.).

Non tutti gli impianti fotovoltaici sono interessati dal provvedimento, i produttori, su specifica richiesta del Gestore dei servizi energetici (GSE), dovranno trasmettere una dichiarazione contenente tutte le informazioni necessarie per il calcolo degli extraprofitti. Tale dichiarazione sostitutiva è richiesta esclusivamente per gli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 20 kW che beneficiano di premi fissi derivanti dal meccanismo del Conto Energia, non dipendenti dai prezzi di mercato e per gli impianti di potenza superiore a 20 kW alimentati da fonte solare, idroelettrica, geotermoelettrica ed eolica che non accedono a meccanismi di incentivazione, entrati in esercizio in data antecedente al 1° gennaio 2010.

In un momento storico in cui i rincari energetici mettono in difficoltà i cittadini, è bene chiarire alcuni punti sul caro bollette e gli extra profitti sulle energie rinnovabili. I prezzi dell’energia in tutto il mondo hanno cominciato a salire dopo la fine dei lockdown e la ripresa di tutte le attività lavorative, culturali, industriali, commerciali. Per quanto riguarda l’Italia, già a dicembre 2021 l’Autorità di Regolazione Energia Reti e Ambiente (ARERA) aveva stimato un aumento delle bollette del gas del 41% e dell’elettricità del 55%, a causa di un aumento del costo dei certificati verdi per l’emissione di CO2, in quanto larga parte dell’energia elettrica viene ancora prodotta mediante combustione di carbone, metano o petrolio e suoi derivati, immettendo nell’atmosfera CO2. L’aumento dei costi di CO2 comporta quindi un aumento diretto dei costi di produzione dell’energia elettrica. Con l’inizio della crisi in Ucraina, a febbraio 2022, i prezzi sono tornati nuovamente a salire. Il timore per l’esaurimento delle forniture, la ricerca di fornitori alternativi alla Russia, l’aumento dei prezzi all’ingrosso e a cascata dei costi al dettaglio, non ha fatto altro che alimentare una spirale di crisi delle forniture e innalzamento dei costi. A causa di questa impennata degli aumenti, il Governo ha eliminato, per due trimestri di fila, gli oneri generali di sistema per le bollette della luce e li ha ridotti ai minimi termini per quelle del gas, oltre a ridurre l’IVA, azione fondamentale in un periodo dell’anno in cui si registra il picco dei consumi e, quindi, del costo in bolletta. Inoltre ha provveduto a stanziare maggiori fondi per sostenere il bonus bollette, in modo da compensare, per i consumatori che ne possono beneficiare, i rincari previsti.

Tra le altre misure che il Governo ha vagliato per ridurre i costi in bolletta, e di cui in queste settimane si parla molto, c’è anche l’utilizzo di un possibile “tesoretto”  derivante appunto dalla tassazione degli extra profitti dei produttori di energia elettrica. Gli extra-profitti di cui si parla riguardano alcuni produttori di energia e non le società di vendita. I produttori sono coloro che immettono nelle rispettive reti il gas naturale e l’energia elettrica prodotta. Nel caso dell’energia elettrica, la produzione può arrivare da centrali tradizionali a carbone o a combustibili fossili e gas naturale o da fonti rinnovabili, come nel caso di idroelettrico, parchi eolici o parchi fotovoltaici I distributori invece sono le società che gestiscono le reti nazionali di gas ed energia elettrica. Si occupano quindi di installare, gestire le infrastrutture (cavi, contatori, etc..)

Infine i fornitori, le società di vendita, ossia le aziende che acquistano energia elettrica e gas dai produttori e la vendono ai clienti finali, occupandosi della promozione, vendita e fatturazione ai clienti finali. Quest’ultimi riscuotono anche imposte, tasse e oneri da versare poi ai distributori e allo Stato. I distributori non hanno maggiori profitti, visto che vengono retribuiti con le spese di trasporto e gestione del contatore presenti in bolletta, che non cambiano in base alle quotazioni di energia e gas. Anche i fornitori, acquistando energia e gas per poi rivenderli al dettaglio, non stanno facendo maggiori profitti. Coloro che sono investiti dalla tassa sugli extra profitti sono quindi i produttori, dai quali comunque, vanno esclusi quelli che producono energia elettrica usando combustibili fossili e gas naturale, perché oltre ad avere avuto un incremento delle materie prime come su detto, hanno anche avuto un incremento dei costi per l’emissione di CO2. Le uniche società ad avere degli extra profitti sono quelle che producono energia da fonti rinnovabili, che non hanno visto variare i costi di produzione, mentre hanno visto crescere notevolmente il costo di vendita dell’energia. Saranno queste, quindi, le sole destinatarie delle eventuali misure aggiuntive del governo per recuperare dei fondi da destinare al contenimento dei rincari. Per difenderci dai rincari, l’Autorità ha predisposto anche un portale che il consumatore può consultare per un confronto semplice e affidabile tra le offerte luce e gas www.ilportaleofferte.it

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