A cura di MDC Lazio,
Il concetto di identità digitale è ormai assimilato dalla quasi totalità della società a noi coeva. I costumi sociali degli individui sono cambiati nell’arco di poco meno di un ventennio, da quando internet è diventato uno strumento ed un mezzo utile a semplificare tante attività pratiche e quotidiane. Le ambizioni di una società digitalizzata corrono verso un’“autorappresentazione” della società che per svolgere le proprie funzioni e fornire prestazioni ricorre a reti informatiche e computer. Questa autorappresentazione sociale in un mondo “immateriale” implica dunque una la trasmigrazione ed un’integrazione online di informazioni, pratiche e attività che riguardano il vivere comune di ogni singolo individuo, in un percorso di “modernizzazione” bilaterale, per cui anche il singolo, per agire, debba essere digitalizzato. L’identità digitale di una persona diventa quindi la nuova forma di interazione e azione dell’era di Internet, raccogliendo l’insieme d’informazioni che, all’interno di un determinato sistema informatico, si riferiscono a quella specifica persona. Quanto più elevato è il livello di complessità all’interno del sistema informatico, tanto più approfondite saranno le informazioni relative alla persona. Dal profilo sui social network, al conto in banca, fino al noto SPID, ogni individuo ha la propria dimensione virtuale, secretata da nome utente e password. L’immediatezza delle azioni e delle attività che deriva da un così semplice modus operandi online (si immagini solo il non dover più fare la fila alla posta, o il poter ordinare qualsiasi bene o servizio in rete e a domicilio), farebbe però passare inosservate le implicazioni non scontate di questa bidimensionalità personale, reale e virtuale.
Da qualche tempo si parla infatti di eredità digitale, ossia della trasmissione di una pluralità eterogenea di beni e rapporti giuridici relativi a informazioni di una persona conservate su supporto elettronico a seguito della morte della data persona e da destinare a terzi. Nell’era digitale infatti non si ha più a che fare solo con manoscritti, conti bancari o chiavi di cassette di sicurezza: ci sono gli investimenti gestiti online, i blog, i rapporti intessuti sui social network che costituiscono il “patrimonio digitale” di una persona, di valore economico/patrimoniale o anche solamente affettivo, gestiti digitalmente e magari protetti da password.Se, alla morte di una persona, il passaggio materiale di dispositivi (pc, smartphone, tablet) può essere immediato, si voglia anche per valore affettivo, la proprietà del dispositivo di per sé, non consente tuttavia anche di poter di accedere al contenuto digitale del dispositivo stesso, dato che l’accesso è nella gran parte dei casi protetto dai citati User ID e password, dati personali ed appunto secretati. È a questo punto che possono sollevarsi le prime implicazioni di valenza anche patrimoniale: la normativa nazionale, ancora poco sistemata data l’eccezionalità della prassi a sua volta in via di definizione, si complica se si considera il fatto che i principali operatori di servizi Internet hanno il loro quartier generale negli USA e le condizioni d’uso, quindi il consenso al trattamento dei dati e la nota privacy che l’utente accetta, rinviano quasi sempre ad una legge e ad un Tribunale straniero. Per quanto la rigidità di tale pratica non sia così perentoria, resta il fatto che la natura transazionale della Rete rende difficile tentativi di imporre normative uniche ed uniformi.
In Italia, la materia può far riferimento a normative tra loro differenti, ma complementari: diritto di successione e diritto alla privacy concorrono alla definizione della prassi. Se il diritto di successione ha valenza “universale”, il giovane diritto alla privacy online è regolamentato a livello europeo dal Regolamento generale sulla protezione dei dati UE/2016/679, (GDPR), il quale chiarisce che agli eredi non spetta un diritto incondizionato all’accesso ai dati del defunto, ma serve una valutazione circa la sussistenza di un interesse meritevole di tutela. Non si prevedere però una normativa definita lasciando agli Stati membri la facoltà di legiferare sul tema. L’Italia sembra aver aperto la strada alla definizione del “precedente” nazionale introducendo nel D.LGS. 196/2003 (Codice Privacy) un comma sui “Diritti riguardanti le persone decedute”, considerando tre fattispecie per cui si applica la successione dell’eredità digitale: diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del GDPR riferiti ai dati personali concernenti persone decedute che possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione; divieto da parte della legge o del defunto; volontà dell’interessato. Ad applicare la legge nazionale, il Tribunale di Milano che ha autorizzato una cittadina ad avere accesso ai dati del defunto marito per recuperare non solo i dati “legittimi” (dati sanitari o pensionistici), ma anche quelli inerenti altre piattaforme online (cloud, archivi fotografici ecc…). Sembra una decisione naturale quella della giurisprudenza italiana, ma sottace una responsabilità non di poco conto sia in termini legali, sia di costume. La complessità del mondo digitale e la mancanza di norme precise comporta ancora troppe incertezze e soprattutto potrebbe diventare suscettibile di interpretazioni contrastanti nonché, in extremis, manipolabili da “poca” buona fede.
Nell’attesa che la giurisprudenza chiarisca la strada da percorrere, il Consiglio Nazionale del Notariato, che si occupa della questione dal 2007, ha stilato il Decalogo Identità Digitale per aiutare l’individuo a compiere la scelta a sé più confacente, avviando al contempo un tavolo di lavoro con Microsoft e Google per sviluppare un protocollo che consenta a chi vive in Italia di risolvere problemi di eredità digitale interagendo in modo semplice e non troppo costoso con gli operatori della Rete. Le opportunità di una società digitale sono infinite e di certo agevolano la quotidianità dell’individuo; ma la consapevolezza nell’esercizio delle potenzialità dell’online è chiave per una fruizione utile ed appropriata, anche post mortem.